Marco Fortino

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SPAESATI VERSO NESSUNA META

Sebbene nulla sia più relativo della “normalità”, è presuntuoso pensare di poter vivere sereni senza fissare delle linee di demarcazione oltre le quali tale concetto non si dovrebbe mai spingere. Usi e costumi radicati nel tempo potevano dare in epoche passate l'impressione che un comportamento, un'abitudine, un divieto, fossero tali e intoccabili in quanto assoluti nel loro essere. Ma è bastato che il progresso donasse a tutti o quasi la possibilità di viaggiare, oltrepassando immaginari confini e conoscendo culture diverse dalle nostre, per infrangere gradualmente centenarie certezze e restituire l'idea che nulla fosse destinato a rimanere immutabile nel tempo, in primo luogo le nostre convinzioni. Tutto bellissimo, però... quanto è rischioso aver abbandonato del tutto queste certezze? Le linee guida seguite dai nostri avi, ferme e pesanti come pietre miliari, sono state certo causa di ottusità, ma è innegabile che abbiano avuto una loro utilità. E' invidiabile la spinta motivazionale che viene dall'avere delle certezze inconfutabili. Considerare invece tutto destinato a cambiare e mai assoluto in quanto tale ha causato nelle persone una labirintite cronica, in alcuni così devastante da rendere difficoltoso anche alzarsi dal letto o schiodarsi dalla poltrona, fino a portare ad atteggiamenti autodistruttivi, perché alla fine ogni comportamento è accettabile se visto da un punto di vista differente. Da relativista convinto, non mi entusiasma prendere atto di ciò, ma devo riconoscere che le piaghe della nostra società nascono prima di tutto da questo: dall'incapacità di collocare quello che ci circonda in un contesto di certezza tale da non causare nessun tentennamento, così come una volta si divideva tutto, pur discutibilmente, in "giusto o sbagliato". In fondo, ciò che rende la vita degna di essere vissuta è il perseguimento di un obiettivo, ma se la certezza di esso vacilla, tutto il viaggio perde il suo significato e si finisce per fermarsi. Per poi pentirsene quando ormai è troppo tardi.

5-1-0 (CINQUE SENSI, UNA REALTA', ZERO CERTEZZE)

Mi capita, e non necessariamente da ubriaco, di chiedermi se quanto mi sta attorno, la cosiddetta "realtà", esista davvero nelle forme e nei colori che i miei occhi generosamente le regalano. Se non sono in uno stato d'animo esasperatamente materialista, generalmente la risposta che mi do è negativa. Entrando nel dettaglio, la contorta elucubrazione del mio cervello malato mi suggerisce che quello che ci circonda sia tale solo grazie ai nostri cinque sensi. L'udito ci consente di origliare i discorsi degli altri, il tatto di goderci gli angoli più nascosti dei nostri partners, il fiuto di inalare insopportabili tanfi in metropolitana, il gusto di restare nauseati dalle mense ospedaliere e la vista, senso supremo, di contemplare panorami che noi stessi contribuiamo a distruggere. Ma nessuno di questi sensi ci restituisce una visione assoluta della materia che ci circonda. Tutto esiste in quanto lo vediamo, lo sentiamo, lo tocchiamo, lo annusiamo, lo mangiamo. Eppure non riesco a togliermi dalla testa che noi povere creature non siamo altro che macchine realizzate in serie, con standard ben precisi che ci obbligano ad uniformare tutto ad un'unica realtà percepibile. Ci differenzia qualche variazione nella carrozzeria, ma non la sostanza. Pertanto, dire che un daltonico confonde i colori o che un raffreddore altera la percezione dei gusti lo ritengo un modo di esprimersi scorretto, vagamente banalizzante. Un gusto, un colore o un odore, sono in realtà una proiezione di una nostra elaborazione mentale, tanto utile a sopravvivere quanto ingannevole, tanto magnifica quanto fittizia. Ciò comporta che tutto esiste, ma nulla "è" in quanto tale. Vi sembra una "sega mentale"? Può essere, ma lo ritengo comunque un modo efficace di affrontare la questione che da sempre condiziona il mio modo di pensare: comprendiamo davvero l'universo di cui siamo microscopici e insignificanti elementi?

INDIGINFORMAZIONE

Ieri sera ero in crisi da astinenza informativa e dopo essermi sorbito due telegiornali di dubbia imparzialità ideologica, aver letto articoli da tre quotidiani di diverso orientamento ed aver navigato un’oretta nei meandri dell’informazione pseudo-indipendente su Internet, mi sono ritrovato a riflettere non sui numerosi contenuti recepiti, ma su quello che può scaturire nella mente umana a seguito di un eccesso di stimoli sulle più svariate argomentazioni di attualità, politica e società. E’ fin troppo semplice capire quale sia la conseguenza di un’informazione scarsa: l’ignoranza, anestetizzante e dannatamente comoda. Ma viceversa, cosa comporta essere bombardati da notizie dettagliate fino al morboso dalla mattina alla sera? Apprendiamo in continuazione fatti su fatti, veniamo sepolti da opinioni di ogni tipo, subiamo aspri confronti su ogni materia e tutto ciò ci regala l'utopia essere super informati, quando invece ci riempiamo solo la testa di un gran casino. Cosa ci rimane poi? Idee confuse sicuramente, ma anche la sensazione di sentirsi inadeguati. Quando ci si chiede quali siano i motivi dell’ascesa di forze politiche che semplificano concetti complessi in maniera esasperata e brutale, fino a ridurli a rozzi slogan di facile presa, ci si dovrebbe domandare quanto incida su questo desiderio di banale semplicità l’informazione così ricca e invadente che quotidianamente riempie le nostre fragili testoline. A fronte dell’impossibilità di decifrare centinaia di input, molti finiscono per arrendersi a messaggi semplici, stupidi ma comprensibili. Sarà anche sbagliato, ma è umano. Gli opinionisti che infestano i media suggeriscono continuamente le loro interpretazioni su ogni argomento, finendo per ammazzare il senso critico e impedire ogni tipo di pensiero autonomo. Il rimedio? Informatevi, ma tra una notizia e l'altra trovate il tempo di scollegarvi dall'attualità e fatevi ispirare da chi, come ad esempio Orwell, non si è limitato a suggerire le risposte, ma ha provato ad insegnare a formare un pensiero libero.

OLIGODEMOCRAZIA

E' abitudine abbastanza comune quella di miscelare indebitamente Libertà e Democrazia. Questo legame, che pur risulta naturale come l'olio sul pane, è forte solo nelle apparenze. Esiste una sostanziale differenza che separa i due concetti e non sempre lo sposalizio si rivela una così dolce unione. Se la democrazia è la possibilità data al popolo di governarsi, pur con modalità differenti da paese a paese, la libertà è un concetto più generico, ma dai significati altrettanto forti. Ma si può essere liberi senza necessariamente governare, anche solo in maniera indiretta? La libertà è splendida, credo nessuno vi rinuncerebbe volontariamente. Per contro, la democrazia tanto amata dai rappresentanti dell'intelletto finisce spesso per essere snobbata dal popolo più modesto. Che non vota, o vota controvoglia, e che si disinteressa della politica e dei mostri che essa genera. Se lo si interpella su una manovra del governo, scrolla le spalle dicendo che non segue tali argomenti. O magari sfoggia senza convinzione qualche slogan da tifo calcistico debitamente adattato al proprio partito del cuore. Ma se gli domandi se si sente libero, non esiterà a risponderti di sì e che mai vi rinuncerebbe. Ha ragione o è un illuso? Me lo sono chiesto spesso, senza arrivare a una risposta convincente. Ma un dubbio atroce, giorno dopo giorno, mi sta assalendo: non funzionerebbe meglio una oligodemocrazia rispetto a un sistema che pretende di dare a tutti i costi la parola anche a chi non la vuole? Siccome mi farebbe alquanto schifo arrivare ad accettare questa conclusione, spero sinceramente che un giorno non troppo lontano qualcuno di sufficientemente credibile e privo di una certa squallida retorica mi convinca del contrario.

I MIEI MATTONCINI 30 ANNI DOPO

Da piccolo, ma un po' anche in età adulta, adoravo costruire con i Lego. Fregandomene delle istruzioni, creavo "a mano libera", spesso improvvisando. Non era raro che partissi con l'intento di dare forma ad un camion o un'astronave e finissi per realizzare qualcosa di completamente diverso, rendendomi conto man mano che incastravo i mattoncini di cosa effettivamente potessi in quel momento arrivare ad ottenere. Sono cresciuto e constato che mi trovo ancora ad applicare la stessa metodologia di lavoro con qualsiasi cosa io mi stia cimentando. Sebbene lo ritenga a priori un modo pessimo per raggiungere uno scopo, penso anche che sia efficace per far emergere idee e capacità nascoste in qualche angolo sperduto della nostra mente. Come se queste idee fossero degli animaletti timidi che si nascondono quando li cerchi, ma sbucano fuori curiosi se lasci loro uno spiraglio di luce. Intendiamoci: non mi sentirei di consigliare nessuno di lanciarsi in un progetto ambizioso avanzando a colpi di improvvisazione, ma solo di non attenersi sempre e comunque a schemi mentali troppo rigidi. Non l'avete mai fatto? Provate ed osservate i risultati. Magari saranno una schifezza, ma può anche darsi che vi rendiate conto di come il vostro cervello vi abbia sempre tenuto celate capacità incredibilmente avanzate. A volte talmente evolute da non servirvi a nulla, se non a compiacervene.

7.000.000.000 di conigli

In alcuni pomeriggi passati senza l’assillo di sfruttare necessariamente il tempo in qualcosa di produttivo, mi è capitato di fare un salto in un parco non troppo lontano da casa mia in cui diversi animali, domestici e non, convivono in apparente quiete. Tra questi, i conigli sono sicuramente i più simpatici, liberi di circolare in mezzo alla gente e innocui nel loro saltellare. In più di un’occasione ho osservato che, tra una visita e l’altra al parco, il numero degli stessi tendeva ad aumentare costantemente, così come le loro buche scavate dappertutto. La riduzione drastica avveniva poi quando la mano dell’uomo decideva di interromperne la moltiplicazione, decimandone la popolazione in modi che non mi sono noti, ma che posso supporre. Se da una parte immaginare cucinati questi teneri animali mi spezza il cuore, non posso non considerare come la crescita smisurata degli stessi in un ambiente così limitato sia un danno a quel piccolo ecosistema, che necessita di equilibri da mantenere. Riflettendo su ciò, mi sono chiesto come mai il discorso dell'equilibrio negli ecosistemi non debba riguardare anche l’essere umano. In un secolo la popolazione mondiale è quadruplicata. La conseguenza naturale è stata la scomparsa graduale degli habitat che ogni territorio antropizzato in precedenza custodiva, oltre allo sfruttamento indiscriminato di ogni tipo di risorsa. L’uomo è un essere vivente particolarmente infestante quando vuole. Come gli altri animali, ha bisogno di spazi e risorse. Come gli altri animali, s’impossessa di questi spazi e di queste risorse a discapito di altre specie. Non c’è nulla in tutto ciò che sia contro natura, non esiste forma di vita al mondo che decida di autolimitarsi. Continuare a raccontarsi che la crescita demografica serve al Pil e ad alimentare il sistema pensionistico, per quanto sicuramente vero, è un tantino elusivo della problematica. Non ci dovremo sorprendere quando, dopo anni di benessere e fertilità, la natura ci tratterà come ogni altra creatura in eccesso: facendoci scomparire drasticamente e dolorosamente, come i conigli del parco.


MORALITA' FUTURIBILE

Tempo fa ho sentito qualcuno pronunciare questa frase: “Io non ho morale. Io sono contro la morale”. Mi sono chiesto in più di una occasione se fosse corretto sostenere di poter essere privi di morale, o se viceversa una morale sia sempre presente, ma possa differire da quella delle masse o semplicemente del prossimo. Citando la sacra Wikipedia, la Moralità sarebbe un “assieme di convenzioni e valori di un determinato gruppo sociale in un periodo storico (o semplicemente di un individuo)”, mentre letteralmente la Morale sarebbe, dal Greco, “comportamento, costume, carattere, consuetudine”. Se si parla quindi di Moralità, verrebbe da dare ragione a chi ha proferito la frase con cui ho esordito in questo post. Chi va contro alle convenzioni e ai valori in essere nel periodo storico attuale è contro la Moralità. Ma se si parla di Morale, allora non sono più così convinto della correttezza dell'affermazione. La morale, sempre citando Wikipedia, sarebbe “ciò che è attinente alla condotta e quindi suscettibile di valutazione e quindi di giudizio”. Io stesso mi sono posto il dubbio, scendendo con i miei racconti più o meno consciamente nella blasfemia o raccontando con dovizia di particolari una violenza, se chi mi avesse poi letto mi avrebbe ritenuto una persona priva di morale. Una sorta di mostro, nell'accezione più negativa che questa parola comporti. Vi sembra una disquisizione riguardante solo un bieco discorso tecnico lessicale? Non è così. La distinzione è importante per quello che realmente nasconde. Essendo la morale qualcosa che può differire, ma che è sempre presente in noi, quello che oggi non è concepito come in linea con la morale, domani potrebbe diventarlo con il mutare della moralità. La conseguenza? Semplice: nulla sarà mai universalmente sbagliato e biasimabile. Ma non rallegratevi di questo, prima di aver riflettuto bene su come un futuro senza certezze possa essere tanto stimolante, se presuppone una maggiore apertura verso le idee altrui, quanto terrificante, nel momento in cui esse dovessero condurci verso quella strada buia che porta all'anarchia dell'anima.

SE IL MEZZO SOVRASTA LO SCOPO

Sarebbe interessante saper distinguere cosa nella propria esistenza è "mezzo" e cosa è "scopo". Io me lo sono chiesto in molte occasioni e ultimamente mi è cresciuto il sospetto che spesso si tendano a confondere le due cose. Il mezzo diventa tanto fondamentale da essere scambiato per lo scopo, mentre quest'ultimo resta vago e indefinito, finendo lentamente per scomparire dalla nostra mente. Certo, si tratta di elementi soggettivi: non tutti abbiamo lo stesso scopo e il mezzo può essere il più disparato. Altrettanto certo è che un notevole numero di persone non si pongano mai, neppure per un momento, queste domande esistenziali, sicché tutti i gesti che compiono risultino abitudini ereditate dalla generale mediocrità umana. Al di là di questo, è indubbio che la frenesia quotidiana ci porti a perdere di vista il senso di quel che facciamo. E quando il mezzo diventa, nostro malgrado, qualcosa per cui lottare duramente, inevitabilmente lo innalziamo a scopo. Se allora la vita quotidiana si trasforma in una battaglia per mantenere i mezzi, sarebbe opportuno smettere di combattere per qualcosa di tutto sommato non prioritario se elevato molto oltre la misura della sopravvivenza, ma inculcatoci come indispensabile. "Progresso" e "Benessere" sono parole abusate: quante volte sentite qualcuno parlare di "Consapevolezza"? Forse converrebbe dannarsi di meno e concentrarsi di più sullo "scopo ultimo". Solo a quel punto ci si renderebbe conto che per raggiungerlo non era poi necessario faticare così tanto.

L'UMANA PRESUNZIONE DI NOI POVERI ANIMALI

L'errore più grande che compie quotidianamente l'essere umano medio consiste nel dimenticarsi di far parte del mondo animale. Con una concezione catto-materialista, ci eleviamo allo status di creature superiori al cui benessere tutto deve essere destinato e la cui esistenza risulti giustificata da supreme motivazioni. Tralasciandone la conseguenza più concreta, ossia la violenza indiscriminata e costantemente perpetuata verso tutto ciò che non sia umano, trovo più sottile e solitamente meno analizzato l'aspetto più astratto che ne deriva. Siamo quotidianamente contornati da persone che si spaccano la testa allo scopo di salire gradini sociali, raggiungere risultati, dimostrare il proprio valore, superare in competizione un acerrimo rivale, manifestare il proprio intelletto o la propria prestanza fisica... Sinceramente: non ci sopravvalutiamo un po'? Certo, qualcuno ha scritto su un libro sacro che l'uomo sarebbe stato creato ad immagine e somiglianza di Dio, ma in fondo sono passati molti anni, sarebbe forse il caso di metterci un pochino in discussione. Ad esempio, potremmo iniziare a considerarci degli animali poco più sviluppati della media di ciò che si può trovare sul pianeta. Esseri per cui l'evoluzione ha ritenuto utile far crescere un cervello di dimensioni più grandi, con risultati a volte discutibili. Ma soprattutto, si potrebbe anche smettere di illudersi che tutto abbia uno scopo molto più elevato della semplice sopravvivenza terrena. Gli stimoli che cerchiamo in quello che facciamo sono utili finché aiutano noi stessi e qualcun altro a mangiare, dormire e riprodursi. Oltre questo, diventano pesanti, ingombranti nelle nostre teste. Ok, cerco di diventare più concreto e di crogiolarmi meno nello stile: pensiamo di meno, lavoriamo per campare tutti di più. Non è un teorema splendidamente funzionale? Dimenticavo: il motivo per cui tra le altre cose io scrivo è dare un senso più elevato al mio essere. E quindi? Forse scherzavo.

MODELLI MANCANTI

Stasera, durante la mia quotidiana pausa meditativa, rimuginavo in maniera insistente sui miei difetti. Ne ho tirati fuori davvero molti, ma quando sono arrivato a chiedermi quale fosse il peggiore, ci ho dovuto pensare sopra un po'. La conclusione a cui sono arrivato è: “non avere un vero e proprio scopo nella vita”. Partendo da questa considerazione, sono nate nella mia testa una miriade di diramazioni di pensieri e il più interessante tra questi portava ai modelli ideali. Non c'è niente di più facile nella vita che avere dei modelli da seguire. Nel tentativo di avvicinarsi ad essi, gli stimoli nascono e si alimentano, fino a raggiunge la soddisfazione quando si arriva ad eguagliarli o quantomeno vi ci si avvicina. Io questi modelli non li ho. Non ho figure di riferimento, non ho personaggi da ammirare. Non conosco l'invidia, detto con il rammarico di chi non invidia in quanto non aspira a qualcosa di ben definito. E' logorante, in un certo senso. Tante volte mi sono guardato allo specchio ed ho pensato: “Cosa faccio della mia vita? Chi o cosa voglio diventare?” Se qualcuno mi mostrasse un modello vincente da seguire, credo proverei nei suoi confronti un profondo senso di disprezzo, chiunque esso fosse. Non riesco a provare ammirazione per le persone, ne consegue che nulla negli altri mi sembri meritevole di essere imitato. A parte una lieve misantropia, credo che la mia malattia sia un eccesso di sfiducia nell'essere umano ed un altrettanto gravoso eccesso di considerazione dei suoi limiti. Cosa ne consegue? Che tutto pare di poca importanza, nulla mi riesce a stimolare e coinvolgere per più di un breve periodo. Ma questo non sottintende necessariamente l'apatia. Personalmente, scavalco questa mancanza con una ricerca maniacale di consapevolezza nella mia persona. Se seguire dei modelli è per me fonte di infelicità, sentirmi consapevole di quello che sono riesce a donarmi un senso di benessere insuperabile. Dunque introspezione al posto di una superficiale ricerca di umano successo. Una filosofia da perdenti? Sì. E me ne compiaccio.

CERVELLO IN STAND-BY

Il clima vacanziero pre-post-pandemico che aleggia in questo periodo mi ha portato qualche giorno fa a discutere con un amico di una questione che proprio non riesco a digerire. Pare infatti che vi sia esigenza imprescindibile, contestualmente alle proprie ferie, di spegnere il cervello e dedicarsi ad attività amene, oppure attivare una sorta di modalità a risparmio energetico della mente. Il quesito che con il mio amico ci ponevamo è: far funzionare il cervello è una fatica che richiede durante l'anno almeno un mesetto di stop? Ritengo aberrante questo concetto. Per carità, nulla da eccepire sul fatto che lo stress del lavoro spesso logori fino a portarci vicino ad un esaurimento fisico e nervoso, pertanto ben venga potersi riposare e ricaricarsi in questo senso. Oltre a ciò, è altrettanto indubbio che le problematiche quotidiane che la vita ci riserva siano alla lunga frustranti, pertanto che ci si trovi sotto l'ombrellone in spiaggia o al fresco delle alpi trentine si tenderà comprensibilmente a non voler rimuginare su questioni irritanti o angoscianti, che torneranno ad essere oggetto di preoccupazione al rientro. Quello però che proprio non riesco a concepire è che una sana attività mentale debba essere considerata estranea alla vacanza perfetta. Come se la cultura, il ragionamento o l'intima riflessione non fossero elementi di gratificazione, ma bensì di disturbo al riposo. Non vorrei sembrare palloso. Piace anche a me divertirmi, rilassarmi, stravaccarmi a sorseggiare un aperitivo, ridere per una battuta idiota, farmi una buona mangiata di pesce, per non parlare di tante altri piaceri della vita per cui è meglio non entrare nei particolari. Solo non capisco come si possa godere di tutto ciò senza avere il cervello costantemente collegato ed in funzione. L'aspetto più inquietante è che questo blackout cerebrale viene propinato ed incentivato dai media, con una costanza tale da farmi sospettare che sotto sotto, chi ha il potere di usare a proprio piacimento tv, internet e giornali, spinga su questo tasto per operare indisturbato alle spalle di innocue amebe intente ad abbronzarsi.


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